giovedì 25 giugno 2009

Nichilismo mortifero

Ancora giovani pazienti che non vogliono vivere. In modo simbolico, sballandosi con ogni tipo di sostanza o comportamento, sino all'inverosimile, e giocandosi il cervello già in adolescenza; o in modo reale, tentando di farla finita. E mi chiedono "a che serve la vita", "perché dovrei vivere, non credo in nulla". Senza credere tanto neanche alla domanda che fanno, o almeno senza far mostra di crederci. Tutto indifferente, tutto uguale, tutto terribilmente banale.
Faccio quel che posso, e quello che posso è il mio mestiere, che amo anche quando le spalle si curvano sotto il peso delle vite/non vite altrui.
Mi sembra che giorno dopo giorno aumenti, soprattutto nelle persone più fragili ed indifese, e specie nei ragazzi (almeno quelli che vedo per lavoro), l'impatto destruente del cinismo e del nichilismo ormai promossi a visione del mondo quasi obbligata.
Quando le teste d'uovo che diffondono il nulla spacciandolo per cultura si renderanno conto che uccidono gente?


giovedì 18 giugno 2009

Passeggiata catanese (con divagazioni a nessi associativi allentati)

Una bella lezione magistrale del Prof. Romolo Rossi sul narcisismo, Clitennestra e Medea apre la mia mattinata catanese (finalmente Catania, dopo un bel pò di tempo).
Poi è più forte di me, devo rituffarmi nel pulsare della città che è stata anche mia per tredici anni.
Posteggio agli archi della Marina, e comincio la mia camminata dal mercato all'aperto: la cadenza cantilenante delle voci, il sole che abbacina, la vista e l'odore del pesce fresco, le foto antiche della città, il trovarsi quasi a contatto di pelle con una umanità esuberante, varia, indocile, guizzante; e poi via Etnea, il Duomo con i resti mortali della "santuzza", Agata la martire, anche lei indomabile già da ragazzina.
Entro ed esco dalle librerie che sono state mio riferimento continuo, ne trovo delle altre; e poi le pasticcerie e le gelaterie, i camerieri che continuano a portare granite di mandorla, caffè, limone, gelsi, ai tavolini che si affacciano sul salotto della città; il biancore di Piazza Università, una turista americana pallidissima che si muove come fosse nel deserto, avvolta in un velo leggero che le copre testa e volto. Un vecchietto col vestito "buono", camicia e giacca a maniche lunghe, che cammina lentamente, gracile, a passettini piccoli, e da un momento all'altro sembra cadere. Non cade.
E poi Piazza Stesicoro, e l'inizio dell'altro mercato all'aperto, vestiti e altro: una specie di Chinatown, dove non mancano però africani insieme agli indigeni.
Il chiosco è una tappa obbligata. Chiedo un "completo" con menta: c'è dentro orzata, seltz, limone, anice e menta. Mentre lo assaporo lentamente ad occhi socchiusi, riconciliandomi con l'Universo intero, mi sorprendo a pensare all'incrocio millenario di cromosomi da cui derivo, ed alla memoria incisa nell'inconscio collettivo della mia gente: e mi pare di veder danzare insieme siculi e sicani, greci e fenici, romani, arabi e normanni, ispanici e germanici, e poi ebrei, americani, pakistani, indiani, cinesi e filippini...
Ed ancora Archimede, Gorgia, Empedocle, Stesicoro, Epicarmo, le commedie e le tragedie, Federico II e la scuola siciliana, i Vespri, gli stupri subiti ed i riscatti cercati, le guerre sopportate e le dolcezze vagheggiate, e poi il barocco, e Bellini, De Roberto, Brancati, Verga e i Malavoglia, Pirandello, Tomasi di Lampedusa e il Gattopardo, Garibaldi e i briganti, la mafia e l'antimafia, Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici, Costa, Quasimodo e Fiume, Guttuso e Guccione...
Mi ritorna in mente quanto letto alcuni giorni fa su una rubrica a firma di Corrado Augias: con pensosa compunzione da sacerdote di un disincarnato moralismo amorale, rispondeva ad una lettrice che straparlava (male ovviamente) della Sicilia, ripetendo in sostanza il vecchio clichè della terra irredimibile (chi potrà salvare la Sicilia, più o meno era il senso, se non ricordo male).
Davvero in molti, negli ultimi tre millenni almeno, sono venuti cercando di "salvarci". Io non sento il bisogno di altri salvatori.
Se c'è una cosa che sto imparando da questa metafora gettata nel Mediterrraneo tra fuoco del vulcano e acqua di mare che è la mia terra, è che qui è dato di conoscere , fino ai limiti della vertigine, la carne di cui siamo fatti. E chi ha conosciuto la carne può dannarsi perdendosi in essa senza mai trovarla davvero, o redimersi degustandone in pieno e sposandone il mistero.
Questa redenzione è la sola salvezza in cui credo, e me la dà qualcuno che da Logos ha accettato di farsi carne.
Nulla a che fare con Augias, con rispetto parlando...

sabato 13 giugno 2009

Gheddafi in Italia: abbiamo vinto qualche cosa?

Il buon vecchio Gheddafi, a ben vedere un pò della sua biografia, dei suoi comportamenti, e soprattutto ad ascoltare le cose che dice, mi sembra un libro aperto. Di quelli che ho studiato per tanto tempo per motivi strettamente legati al mio lavoro, ovviamente.
Ma nell'approcciarmi alle "originalità" degli uomini ho imparato a non soffermarmi tanto sui protagonisti, quanto su chi sta loro intorno, su come cerchi di adattarsi allo
scuotimento delle fondamenta delle proprie sicurezze, dei propri rituali e dei propri stereotipi che il contatto con l'"originalità" necessariamente porta con sè.
A complicare le cose c'è il fatto che in questo caso, così come in tanti altri casi della storia, anche europea, il tipettino "originale" è pure un dittatore, e pure uno di quelli che non si fanno scrupoli di fare tanti danni.
Ed allora tutti, o quasi, a blandirlo, ad abbracciarlo, a far finta di non sentire le mostruosità che dice, o di non accorgersi di come si sia divertito ad umiliare le istituzioni italiane. Certo, ci sono ragioni di buon senso e di politica internazionale, oltre che pressanti ragioni economiche, che sono importanti da perseguire nell'interesse nazionale, ma continuo ad avere qualche dubbio sul fatto che con questi tipi sia utile, oltre che giusto, abbassarsi al di sotto dei limiti imposti dal decoro: nulla di più pericoloso ed infido del narcisismo patologico che coltivato, innaffiato con cura, incoraggiato, raggiunge la sua totale perfezione nel delirio di onnipotenza.
Ancora una volta, la storia europea dovrebbe aiutarci, a partire dal considerare quale fine abbiano fatto, ad esempio, tutti i patti siglati dal buon (si fa per dire) vecchio zio Adolf .
In ultimo, provo a togliere un piccolo sassolino dalla scarpa: la stessa Università "La Sapienza" (anche qui, purtroppo, si fa per dire) che, in nome di non si sa bene quale libertà, ha portato il papa innamorato della ragione a rinunciare a tenere la sua lectio magistralis, si è piegata a quella che mi sembra una umiliazione indicibile, quale il permettere al personaggio in questione, negazione vivente del concetto stesso di libertà e di ragione, di tenerla lui, la lectio magistralis. Lo ha fatto senza che nessuno tra i suoi docenti abbia non dico alzato la voce, ma neanche provato a mormorare timidamente qualcosa.
Tranne una, che ha fatto un appello ai suoi colleghi, senza ricevere nessuna adesione. L'ho appreso dal blog di Giorgio Israel, e mi sembra buona cosa copiare ed incollare quell'appello qui, visto che mi sembra di un equilibrio impeccabile e visto che lo condivido in pieno, sottoscrivendolo idealmente.



Al Magnifico Rettore Prof. Luigi Frati
Al Senato accademico
Ai colleghi dell'Università di Roma "La Sapienza"

Magnifico Rettore, cari colleghi,
apprendo con costernazione che l'Università di Roma "La Sapienza", che non ha saputo accogliere con rispetto e civiltà il papa Benedetto XVI, accoglierà il giorno 11 giugno il leader libico Moammar Gheddafi, che incontrerà la comunità accademica tutta in aula magna. Il comunicato reso pubblico recita che il sig. Gheddafi si rivolgerà in particolar modo ai nostri studenti.
Non so in quale sede accademica sia stata deliberata questa visita né per quali ragioni sia stata decisa.
Esprimo la mia ferma protesta circa l'opportunità di invitare solennemente il sig. Gheddafi, leader di un regime dittatoriale, a parlare nella nostra Università, che mi auguro dedita con sforzo congiunto di tutta la comunità accademica -al di là di ogni differenza politica- alla tutela dei principi di democrazia e libertà, che sono a fondamento della Costituzione repubblicana, e a tenere vivi tra i nostri giovani studenti sentimenti di profondo attaccamento alla libertà e alla pace.
Ricordo che pochi giorni fa è morto, dopo sette anni di patimenti nelle prigioni libiche, Fathi Eljahmi, dissidente libico che ha patito nelle carceri l'oppressione del regime di Gheddafi insieme alla moglie a al figlio maggiore solo per aver combattuto per il diritto di parola e per riforme democratiche. Mi chiedo se qualcuno nella comunità accademica della Sapienza potrà chiedere conto all'ospite del destino tragico di questo spirito libero e di tutti i suoi concittadini, meno noti, che per persecuzione politica sono stati costretti a tacere, sono stati imprigionati o sono stati espulsi dal paese.
Ricordo che i partiti politici sono vietati, che è vietato il diritto di sciopero, che la stampa è soggetta a censura, che la magistratura è controllata dal governo, che vi sono severe restrizioni al diritto di parola, di associazione, di manifestazione e alla libertà di religione. Ricordo che l'attuale regime libico ha espropriato ed espulso senza diritto di difesa le residue comunità ebraiche presenti in Libia e la Libia, storicamente centro di una fiorente comunità ebraica, è oggi uno Stato privo della presenza di qualunque cittadino di religione ebraica. Ricordo che nell'ambito delle Nazioni Unite il regime libico ha promosso ripetutamente campagne di attacco fazioso e violento contro lo Stato d'Israele ed è stato tra i promotori della conferenza Durban II, dalla quale l'Italia si è ufficialmente dissociata e alla quale si è rifiutata di partecipare.
Mi chiedo quali insegnamenti il sig. Moammar Gheddafi potrà impartire ai nostri studenti e perchè la nostra comunità accademica debba ascoltarlo senza una voce critica chiara e ferma. Se la diplomazia internazionale segue la propria strada, la comunità accademica dovrebbe sempre e comunque, con coraggio, parlare a tutela della libertà.

Prof. Bruna Ingrao

venerdì 5 giugno 2009

E' così che oggi noi potremmo ben considerare la psichiatria...

...E' così che oggi noi potremmo ben considerare la psichiatria come lo studio non soltanto delle distorsioni della comunicazione interumana ma anche, e forse soprattutto, delle distorsioni antropologiche dell’incontro...la psichiatria, dunque, come la scienza che studia non solo e non tanto l’uomo neurale, ma che indaga l’uomo nelle sue (primarie) capacità e incapacità di costituirsi in Noi (das wirhaftes Zwischen), di declinarsi in reciprocità; e lo studia nei suoi surrogati vissuti del Noi, nelle sue molteplici forme di scadimento nell’anonimo e/o nel collettivo, là dove si assiste a una vera e propria “scomparsa del partner”, a un vanificarsi della sua co-presenza...

Bruno Callieri, Appunti per una Psicopatologia della Reciprocità.

mercoledì 3 giugno 2009

A vent'anni da Tien an Men

La notte tra il tre ed il quattro giugno di vent'anni fa fu repressa nel sangue la lunga, inerme e pacifica protesta di migliaia di ragazzi cinesi, che manifestavano nella piazza Tien an Men di Pechino per la democrazia e la liberazione dalle catene insopportabili della dittatura comunista.
Di quei giorni penso che resti incancellabile l'immagine di quel ragazzo che da solo, armato di un incredibile coraggio, o di una assoluta disperazione, o forse di entrambi, riuscì a bloccare una colonna di carri armati sbarrando loro la strada col suo corpo.
E' vero che da lì partì un movimento che portò in modo imprevedibile, dopo pochi mesi, al crollo di tanti regimi comunisti e del muro di Berlino.
Ma è pure vero che in Cina le cose sono rimaste apparentemente le stesse, e la tentazione di considerare quelle migliaia di morti ammazzati come un tragico fallimento, quasi come una inutile follia, è forte.
Io continuo però a pensare che quell'uomo solo e disarmato, con un suo nome ed un suo volto che non ha voluto sottrarre al confronto, capace di fermare, anche se solo per poco, una forza anonima, vile, cieca, radicalmente stupida, resti un'immagine profetica.
Ed ho il vezzo di credere che le profezie, se sono realmente tali, prima o poi si realizzino...

martedì 2 giugno 2009

Il mondo è fatto...

Il mondo è fatto della sostanza dei nostri sensi, ma si offre a noi attraverso i significati che ne modulano le percezioni.

David Le Breton, Il sapore del mondo. Un'antropologia dei sensi. Raffaello Cortina Editore, 2007.