sabato 27 dicembre 2008

Rosa

Il tuo sorriso metteva di buon umore, per quanto contasse su un solo dente e fosse circondato da miriadi di rughe. Erano gli occhi a dare luce ad un viso scavato da anni interminabili di manicomio, ricoveri e malattia. Non parlavi da più di vent'anni, non una parola, mai.
Una mattina, alla riunione di Comunità, ti sei presentata con la tua mano nella mano di Salvatore. Ridevi, e lo guardavi. Lui era parecchio più giovane di te, e per colmo di sfortuna, ai suoi problemi aggiungeva pure una brutta malformazione al cuore.
Anche lui ti guardava, un pò obliquo per pudore.
Chi c'era ha percepito un fremito di tenerezza e commozione attraversare l'aria.
Forse la memoria mi inganna (sono passati un pò di anni ormai, e centinaia di volti e nomi), ma mi pare che da quel giorno, tu ricominciassi a farfugliare confusamente qualcosa, ogni tanto.

sabato 20 dicembre 2008

Buon Natale

Buon Natale a chi si sente al sicuro.
Buon Natale a chi sente mancare il terreno.
Buon Natale ad ogni uomo perseguitato e braccato
per quello che pensa o crede.
Buon Natale ad ogni cristiano che non sa di esserlo.
Buon Natale ad ogni cristiano che ha paura di esserlo.
Buon Natale ad ogni cristiano che sa di esserlo, e resiste.
Buon Natale ad ogni Povero Cristo.
Buon Natale a chi aspetta un incontro.
Buon Natale a chi non aspetta niente.
Buon Natale a chi non ha la forza di sperare.
Buon Natale a chi ha l'audacia di sperare.
Buon Natale a chi non ha più voglia di cercare.
Buon Natale a chi continua a cercarsi e cercare.
Buon Natale agli innocenti martiri, che non è possibile contare.
Buon Natale a tutti gli innocenti, perché nessuno li renda martiri.
E Buon Natale a te, piccolo Yĕhošūa‘,
che ti ostini a cercare volti ed occhi amici,
e per loro passi oltre il ghiaccio di ogni rifiuto,
i portoni sbarrati di ogni palazzo,
il ghigno di vetro di ogni re assassino,
e non temi il buio di ogni spelonca.
Vuoi esserci, e quello che vuoi Tu avviene.
Quello che Tu vuoi avvenga.

domenica 14 dicembre 2008

Fenomenologia è psicoterapia

…ma l’empatia è un’altra cosa. Di essa, soprattutto in ambito clinico, si può auspicare che sia calorosa, perché voglio vedere quale paziente possa desiderare d’avere un medico o uno psicologo o un infermiere freddo ed impartecipe. Non per questo si può sostantivare l’aggettivo e ritenere che l’empatia sia calore. L’autore da citare a proposito dell’empatia è, naturalmente, Edith Stein … Ma bisogna ricordare che il suo pensiero sull’empatia si può riassumere dicendo che l’empatia è accorgersi dell’altro.

E questo non vuol dire di per sé amarlo. Può ben voler dire anche odiarlo, e come!

L’empatia è sentire la presenza dell’altro, farlo risaltare dallo sfondo come figura, trarlo dall’insignificanza, anzi, dall’inesistenza e fargli posto aprendo una nicchia nella nostra indifferenza. L’empatia è una prassi mimetica: “una mimèsi impercettibile dell’altro” (1969). Prassi perché essa si ha quando l’intenzionalità della coscienza si declina secondo modi, che possono essere espressi soltanto col ricorso a metafore corporali e di movimento: “andare incontro”, “aprirsi”, “accogliere”. Mimetica perché i movimenti intenzionali si modellano sull’altro. Quando la prassi mimetica è più che subliminare ed emerge alla coscienza come un fremito, allora ci siamo con l’immedesimazione, cosiddetta perché si ha l’impressione che l’altro si sia in qualche modo insinuato dentro di noi…

Essere disponibile per l’altro vuol dire aprire verso di lui la propria coscienza intenzionale e quindi cogliere in lui, al di là della sua reale malattia mentale e del suo reale disagio esistenziale, due invarianti irreali (fenomeniche): l’opacità e la pesantezza. “Fenomenologia è psicoterapia” in quanto il fenomenologo propone al paziente di prendere quanto più è possibile coscienza del lavoro operato spontaneamente su di lui dall’epochè, e sia pure con un’ “aratura” devastante, mettendo in comune la ricerca della trasparenza e della leggerezza, e così si fa terapeuta.

Il più grave peso e la più oscura opacità vengono dall’insignificanza. Il malato si sente compreso quando avverte che noi non lo releghiamo nell’insignificanza ed il fenomenologo esercita la comprensione col cogliere i significanti per la loro appartenenza pura e semplice alla sfera della significazione (1994).

“Fenomenologia è psicoterapia”: questa “formula” è stata coniata da Barison, come una sintesi dello spirito, che egli ritenne di avere incontrato nei miei scritti. Per quanto possa sembrare iperbolica, gliene sono molto grato, perché la sua autorità mi conforta a mantenere fiducia nella portata intrinsecamente terapeutica della fenomenologia, senza che ci sia bisogno d’inquadrarla in una “psicoterapia fenomenologica” formalizzata…

Lorenzo Calvi, Fenomenologia è psicoterapia, Rivista Comprendre, n. 10, 2000


Ci sono Maestri che non ho mai conosciuto. Eppure, a volte, incontrarli sulle pagine di una rivista può non essere meno intenso che frequentare le corsie dei loro reparti.


mercoledì 10 dicembre 2008

Mary Joy

Ho ricevuto una tua lettera dalle Filippine, insieme ad una foto in cui mostri un sorriso mite e sereno, ed occhi limpidi e profondi di chi conosce la povertà e la sofferenza.
Mi chiedo quante cose semplici e lontane, sepolte nella memoria, mi stia restituendo quel sorriso.
Scrivi che desideri per me e per la mia famiglia una pioggia di grazie, e non sai che il tuo stesso nome ha il profumo della grazia che si fa persona.

venerdì 5 dicembre 2008

Dietrich Bonhoeffer

L'ottimismo, nella sua essenza,
non è guardare al di là della situazione presente,
è, invece, una forza vitale,
una forza della speranza, ove altri si arrendono,
una forza per tenere alta la testa,
quando tutto sembra fallire,
una forza per sopportare le sconfitte,
una forza che non lascia il futuro all'avversario,
ma lo rivendica per sé.
Meditazioni dal carcere

Ti hanno messo un cappio al collo per ordine diretto di Hitler, pochi giorni prima della sua fine.
Il male è sempre stupido, prima ancora di essere male: non sa far altro che travolgere tutto fino a divorare sé stesso.
Al di là di quello che sembra, hai vinto, poiché la tua forza ha saputo sopportare la sconfitta, hai tenuto alta la testa e non hai lasciato il futuro all'avversario.
Forse anche qui, ora, potrebbe non essere temerario parlare di ottimismo;
forse anche qui, ora, potrebbe valere la pena di attraversare il buio...

lunedì 1 dicembre 2008

Marco (o comunque ti chiameranno)

Mancano pochi giorni, forse poche ore. Poi uscirai fuori dal corpo che ti ha impastato e ricamato.
E sarai tu ad impastare e fare un'altra volta nuovi i volti di tua madre e tuo padre, stanchi e segnati dalla paura che ti succeda qualcosa (li hai tenuti sul filo, in verità). Sarai tu a dare vita nuova alle loro prime rughe.
E con loro ti aspettiamo anche noi, perché il tuo affacciarti è segno che la brezza leggera continua a portarci il respiro di Dio.

martedì 25 novembre 2008

Pasquale

Mi torni in mente oggi, mentre penso ai grandi intelligentoni che parlano di qualità della vita come presupposto della dignità della vita (Dio, che paroloni!), e si spingono a vagheggiare di esistenze unfit. E mi viene voglia di raccontare di te, e magari più in là, di altri tuoi (e miei) compagni di viaggio. E' il mio modo umile, forse del tutto inutile ma indicibilmente indignato, di spernacchiare quegli stessi intelligentoni (tutti conduttori di esistenze fit, ovviamente).
Primo anno da psichiatra nella trincea della malattia mentale grave e cronica, quella che mette subito le cose in chiaro e ti insegna senza complimenti ad usare il tuo narcisismo e la tua onnipotenza terapeutica come tappetino su cui pulirsi i piedi ogni mattina entrando ed ogni sera uscendo dalla residenza dove tu vivevi ed io lavoravo (vivendoci tutto il giorno).
Quella malattia, anche, che ti mostra qualcosa di prezioso, che in nessuna Università si sognano di insegnarti: quanto cioè sia importante, ricco, e, questo sì, dignitoso, coniugare il curare con il prendersi cura, soprattutto quando i margini per curare sono ridotti quasi al nulla.
Eri arrivato da noi qualche mese prima, e non c'era verso di tentare una qualsiasi forma di contatto: stavi rannicchiato su una sedia, le spalle curve, lo sguardo perennemente rivolto al pavimento, e ripetevi senza interruzione la stessa stereotipia: sputavi a terra, e ripassavi continuamente coi piedi sulla saliva, tracciando cerchi concentrici. Così da quarant'anni. Chi tentava di avvicinarti, in ogni senso, otteneva a volte, come premio, un calcio ben assestato.
I tuoi parenti raccontavano che da giovane, prima della malattia, ti piaceva vestire elegante e cantare canzoni melodiche.
Siamo riusciti a coinvolgerti in una seduta di rilassamento, ed un lettore cd ha cominciato a suonare canzoni di Claudio Villa.
Per la prima volta da quando ti conoscevo hai interrotto il tuo rituale, hai rialzato gli occhi, ed hai guardato lontano. Poi in silenzio, quietamente, sono scese lacrime rassegnate.
Quel giorno, io, tu e Paola ci siamo incontrati.

mercoledì 19 novembre 2008

Alfio Antico


na notti mi sunnai ca iu era cu nuddu, e nuddu si sunnau ca era ccu mia...

Sto ascoltando in questi giorni la tua musica. Ho avuto il singolare privilegio di conoscerti di persona durante una cena con amici, alcuni anni fa. Hai portato al ristorante un tamburo che avevi costruito ed istoriato tu, secondo conoscenze antichissime, ed hai trasformato una serata già bella di per sè in un evento magico.
Già da bambino hai conosciuto la solitudine e le asperità della vita, difficile ma piena, di pastore, non molto lontano dai miei luoghi.
Una forza oscuramente luminosa ti ha trascinato a girare il mondo, poggiando su un italiano incerto e su un genio certissimo, fino a fare da percussionista a Pino Daniele, Eugenio ed Edoardo Bennato, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Vincenzo Spampinato, e fino a collaborare con gente di teatro come Albertazzi, Massimo Ranieri, Ottavia Piccolo.
Ascoltarti è sentire scorrere sulla pelle il suono dei secoli e delle civiltà che si sono succedute sulla nostra terra, percepire la rugiada o la pioggerella notturna che si posa sulla pelle e sui vestiti e riempie le foglie di fichi d'india da cui dissetarsi (binirittu sia lu cielu e lu sirenu!), rievocare la bellezza impervia ed antica delle nostre donne vestite di nero, il profumo della zagara o della terra bagnata dalla pioggia, o sentirsi ferire gli occhi dalla luce abbacinante del sole d'agosto.
Ascoltarti è sentire come la nostra terra trasudi saggezza antica, cultura, bellezza, forza e mistero.
Ascoltarti è capire che è solo per pochi comprendere parola per parola quello che canti nel dialetto dei Monti Iblei, ed è tornare a fare la pace con la gioia e l'orgoglio di essere figlio di questa terra.

lunedì 17 novembre 2008

Crisafulli

Disperatamente aggrappato alla vita, quindi disperatamente scomodo. Tu ti sei svegliato, e racconti che quando dicevano ai tuoi parenti che non potevi che essere assente (eri in stato vegetativo), percepivi di essere orridamente imprigionato in un corpo che non rispondeva, ma sentivi le sentenze degli "scienziati" (davvero mai nessuno che sappia dire "non lo so"), il dolore dei tuoi, che così pericolosamente avrebbe potuto scivolare verso la rassegnazione, e la rabbia che ti montava dentro. Sia benedetta la tua rabbia, anche oggi che nel tuo sito web (www.salvatorecrisafulli.it), insieme a chi ti vuole bene, la riversi con dignità e fermezza verso gente che non ha pudore di definirti (oscuro timore di essere definita?).

domenica 16 novembre 2008

Eluana

Vita ormai soltanto “biologica”, ho sentito dire oggi... E’ lecito interrompere il flusso di materia ed amore che continua a nutrirti, ho sentito ieri...E tu continui ad addormentarti e svegliarti ogni giorno; le tue palpebre continueranno a nascondere e poi svelare appena, come da una nebbia fitta, un mistero che spaura. Fino a quando la paura verrà uccisa, e il suo cuore arrestato a forza, col tuo. E per placarla, prima che muoia, le bagneranno le labbra insieme alle tue, finché saranno esangui. Cercano la pace, e nessuno sa cosa cerchi tu, e se cerchi ancora. “E’ certo che non soffrirà”, ho sentito oggi.
E chi l’ha detto ha forse letto per tanti anni le stesse parole che ho letto io, gli stessi libri, ha incrociato lacrime e sguardi simili a quelli che io incontro, e fa il mio stesso mestiere. Non c’era scritto da nessuna parte se soffrirai, di questo sono certo, né sulle pagine di carta, né su quelle di carne ed occhi.
Non troveranno la pace, né la troverò io. E non passerà la paura, diventerà pietra.
Cos’altro resta, se non il freddo che penetra le ossa, ed in lontananza un triste biascicare parole stonate (diritti, finalmente, autodeterminazione), senza più senso, né suono.
Già a qualcun altro (per misericordia, dicono) bagnarono le labbra con aceto.