martedì 25 novembre 2008

Pasquale

Mi torni in mente oggi, mentre penso ai grandi intelligentoni che parlano di qualità della vita come presupposto della dignità della vita (Dio, che paroloni!), e si spingono a vagheggiare di esistenze unfit. E mi viene voglia di raccontare di te, e magari più in là, di altri tuoi (e miei) compagni di viaggio. E' il mio modo umile, forse del tutto inutile ma indicibilmente indignato, di spernacchiare quegli stessi intelligentoni (tutti conduttori di esistenze fit, ovviamente).
Primo anno da psichiatra nella trincea della malattia mentale grave e cronica, quella che mette subito le cose in chiaro e ti insegna senza complimenti ad usare il tuo narcisismo e la tua onnipotenza terapeutica come tappetino su cui pulirsi i piedi ogni mattina entrando ed ogni sera uscendo dalla residenza dove tu vivevi ed io lavoravo (vivendoci tutto il giorno).
Quella malattia, anche, che ti mostra qualcosa di prezioso, che in nessuna Università si sognano di insegnarti: quanto cioè sia importante, ricco, e, questo sì, dignitoso, coniugare il curare con il prendersi cura, soprattutto quando i margini per curare sono ridotti quasi al nulla.
Eri arrivato da noi qualche mese prima, e non c'era verso di tentare una qualsiasi forma di contatto: stavi rannicchiato su una sedia, le spalle curve, lo sguardo perennemente rivolto al pavimento, e ripetevi senza interruzione la stessa stereotipia: sputavi a terra, e ripassavi continuamente coi piedi sulla saliva, tracciando cerchi concentrici. Così da quarant'anni. Chi tentava di avvicinarti, in ogni senso, otteneva a volte, come premio, un calcio ben assestato.
I tuoi parenti raccontavano che da giovane, prima della malattia, ti piaceva vestire elegante e cantare canzoni melodiche.
Siamo riusciti a coinvolgerti in una seduta di rilassamento, ed un lettore cd ha cominciato a suonare canzoni di Claudio Villa.
Per la prima volta da quando ti conoscevo hai interrotto il tuo rituale, hai rialzato gli occhi, ed hai guardato lontano. Poi in silenzio, quietamente, sono scese lacrime rassegnate.
Quel giorno, io, tu e Paola ci siamo incontrati.

mercoledì 19 novembre 2008

Alfio Antico


na notti mi sunnai ca iu era cu nuddu, e nuddu si sunnau ca era ccu mia...

Sto ascoltando in questi giorni la tua musica. Ho avuto il singolare privilegio di conoscerti di persona durante una cena con amici, alcuni anni fa. Hai portato al ristorante un tamburo che avevi costruito ed istoriato tu, secondo conoscenze antichissime, ed hai trasformato una serata già bella di per sè in un evento magico.
Già da bambino hai conosciuto la solitudine e le asperità della vita, difficile ma piena, di pastore, non molto lontano dai miei luoghi.
Una forza oscuramente luminosa ti ha trascinato a girare il mondo, poggiando su un italiano incerto e su un genio certissimo, fino a fare da percussionista a Pino Daniele, Eugenio ed Edoardo Bennato, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Vincenzo Spampinato, e fino a collaborare con gente di teatro come Albertazzi, Massimo Ranieri, Ottavia Piccolo.
Ascoltarti è sentire scorrere sulla pelle il suono dei secoli e delle civiltà che si sono succedute sulla nostra terra, percepire la rugiada o la pioggerella notturna che si posa sulla pelle e sui vestiti e riempie le foglie di fichi d'india da cui dissetarsi (binirittu sia lu cielu e lu sirenu!), rievocare la bellezza impervia ed antica delle nostre donne vestite di nero, il profumo della zagara o della terra bagnata dalla pioggia, o sentirsi ferire gli occhi dalla luce abbacinante del sole d'agosto.
Ascoltarti è sentire come la nostra terra trasudi saggezza antica, cultura, bellezza, forza e mistero.
Ascoltarti è capire che è solo per pochi comprendere parola per parola quello che canti nel dialetto dei Monti Iblei, ed è tornare a fare la pace con la gioia e l'orgoglio di essere figlio di questa terra.

lunedì 17 novembre 2008

Crisafulli

Disperatamente aggrappato alla vita, quindi disperatamente scomodo. Tu ti sei svegliato, e racconti che quando dicevano ai tuoi parenti che non potevi che essere assente (eri in stato vegetativo), percepivi di essere orridamente imprigionato in un corpo che non rispondeva, ma sentivi le sentenze degli "scienziati" (davvero mai nessuno che sappia dire "non lo so"), il dolore dei tuoi, che così pericolosamente avrebbe potuto scivolare verso la rassegnazione, e la rabbia che ti montava dentro. Sia benedetta la tua rabbia, anche oggi che nel tuo sito web (www.salvatorecrisafulli.it), insieme a chi ti vuole bene, la riversi con dignità e fermezza verso gente che non ha pudore di definirti (oscuro timore di essere definita?).

domenica 16 novembre 2008

Eluana

Vita ormai soltanto “biologica”, ho sentito dire oggi... E’ lecito interrompere il flusso di materia ed amore che continua a nutrirti, ho sentito ieri...E tu continui ad addormentarti e svegliarti ogni giorno; le tue palpebre continueranno a nascondere e poi svelare appena, come da una nebbia fitta, un mistero che spaura. Fino a quando la paura verrà uccisa, e il suo cuore arrestato a forza, col tuo. E per placarla, prima che muoia, le bagneranno le labbra insieme alle tue, finché saranno esangui. Cercano la pace, e nessuno sa cosa cerchi tu, e se cerchi ancora. “E’ certo che non soffrirà”, ho sentito oggi.
E chi l’ha detto ha forse letto per tanti anni le stesse parole che ho letto io, gli stessi libri, ha incrociato lacrime e sguardi simili a quelli che io incontro, e fa il mio stesso mestiere. Non c’era scritto da nessuna parte se soffrirai, di questo sono certo, né sulle pagine di carta, né su quelle di carne ed occhi.
Non troveranno la pace, né la troverò io. E non passerà la paura, diventerà pietra.
Cos’altro resta, se non il freddo che penetra le ossa, ed in lontananza un triste biascicare parole stonate (diritti, finalmente, autodeterminazione), senza più senso, né suono.
Già a qualcun altro (per misericordia, dicono) bagnarono le labbra con aceto.