mercoledì 25 febbraio 2009

Ricordi

Scrivere su questa specie di lavagna affacciata sul mondo mi porta a ricordare cose ormai quasi sepolte dall'incalzare caotico del quotidiano, ma che continuano ad avere un sapore per me incancellabile.
Mi sono tornate in mente, ad esempio, le emozioni forti che ho provato una sera, quando sono stato invitato ad assistere ad una incredibile rappresentazione teatrale, frutto di diversi mesi di lavoro di teatroterapia, messa in scena da pazienti ed operatori della comunità dove avevo lavorato sino ad un anno prima.
A suo tempo ho scritto delle cose per elaborare quelle emozioni, e le ho spedite per fax alla mia vecchia, splendida équipe di quella comunità, per ringraziarla di avermi invitato.
I disgraziati hanno inviato, a mia insaputa, quelle cose che avevo scritto per loro ad una rivista europea, "Catarsi.Teatri delle diversità", che le ha pubblicate (anno 8 n. 25, aprile 2003).
E' stata per me una sorpresa veramente bella, soprattutto per l'affetto e la stima che mi hanno dimostrato con questo gesto.
Ripropongo qui l'articolo per i miei due o tre lettori, che nel frattempo pare siano un pò aumentati di numero..

P.S.
I versi citati nella parte conclusiva sono già stati citati in un altro post di questo blog. Pazienza...


Risonanze, era il titolo dello spettacolo teatrale. E come potrei, io che non sono altro che un viaggiatore errante nella duplice etimologia del termine, parlare di quello che ho visto e sentito, in termini astrattamente scientifici, o freddamente psicologico-psichiatrici-terapeutici-riabilitativi-risocializzanti-antisettici-diuretici-coleretici…
No, non voglio né posso essere psichiatra, medico, o esperto di alcunchè, nello scrivere di ciò che non è de-scrivibile, che sfugge alle definizioni, che si fa beffe di chi cerca di circo-scriverlo; in ultima analisi, di ciò che è semplicemente umano, tanto profondamente e veramente umano, da potere essere in-scritto nella sfera del sacro.
Non c’è altro da fare, quando si percepisce questo, che “togliersi i calzari” di fronte al roveto ardente, ed umilmente ascoltare ascoltandosi, per poter poi balbettare qualcosa che non abbia troppo il sapore della plastica…
Quali risonanze, quindi, per me che ho vissuto per un anno accanto a molte di queste “lune inopportune”, che oggi incontro ancora dopo un altro anno, e che vedo danzare, cantare, recitare, parlare anche con il silenzio, un silenzio così potente che urla come l’uomo di Munch?
C’è Salvatore, smagrito, sicuro, quasi altero nel suo incedere, direi professionale nel modo di essere sul palco; e mi domando se riuscirei, in questo contesto, a ritovare ed identificare i deficit cognitivi che pure ero così sicuro … mah.
C’è Liborio, con la sua carica di vitalità, così drammaticamente antinomica al vuoto siderale di affetti da cui è stato circondato sino a non molto tempo fa; ma dove sono la rabbia e l’aggressività, uniche compagne fedeli del suo esistere, mentre fasci di luce sottolineano i suoi salti ed i suoi passi nel buio della scena?
C’è Giusi, con il suo volto buono, sereno e rasserenante, di madre ed infermiera, che gioca e si diverte; chissà quante volte ha il tempo di farlo, lei che mi è sempre apparsa come il mandala del lavoro e dell’oblazione…
C’è l’altro Salvatore, reduce da una permanenza di svariate decadi in strutture manicomiali che ha spento ogni luce dal suo sguardo, tanto da non fargli capire più dove si trova, e da fargli rispondere a chiunque in maniera stereotipa “se mi mannassero ‘n casa”, “se mi mandassero a casa”; ho per la prima volta l’impressione che sappia cosa sta facendo, quando cammina sulla scena, affermando, così semplicemente, di esistere…
C’è Maria Rosa, esile, minuta, con il suo carico di fatica, traversie, aspettative tradite, sorridente dignità, che polverizza in un assolo di Mina l’idea stessa che la vita possa rubarti la bellezza…
C’è Maria Rita, che dice parole di mistero in un fragile e lungo tubo flessibile, la cui estremità opposta viene poggiata all’orecchio di alcuni spettatori: capiranno la voce esile di chi ha avuto il collo torto dalla violenza e dall’ignoranza, prima ancora che dalla distonia causata da vecchi farmaci neurolettici, ma che ha conservato, a dispetto del male e di chi fa male, diritta e piena la propria dolcezza, la propria mitezza ed una innocenza che semplicemente ignora la malizia?
C’è Nunny, vero uragano di energia, sguardo limpido e diretto, imperativo, di chi la vita la combatte ogni giorno, e sa che troppi dipendono dal suo coraggio per potersi permettere di issare bandiera bianca; è regale il suo portamento e l’armonia dei suoi gesti, quando sulle note improvvisate e vibranti del trio Jazz danza il dolore e la gioia, l’amore e la solitudine, l’offesa ed il perdono, la malattia e la vita…
C’è Vincenzo, che declama versi e racconta sé stesso, e la voce è tanto forte e sicura quanto il cuore è debole, dubitante e ferito…
C’è Romeo, chiuso nel bozzolo dei suoi deliri (troppo dolorosa è la realtà, da togliere il sonno e la ragione), che nel centro della rappresentazione comincia a chiamare il padre adottivo “papà… papà… papà…”, e viene in mezzo al pubblico, lo cerca, lo prende per mano, lui imbarazzato, impaurito, disorientato, e lo conduce in un improvviso silenzio carico di lacrime abortite verso il palco, verso i suoi compagni di sventura-avventura, a disvelargli il suo mondo e la cifra del suo bisogno di contatto pieno; sembra dirgli, lui che invece vorrebbe essere rassicurato, “non avere paura, ci sono io a guidarti nel mio inferno…non permetterò, io che mi sono perso nel mare del silenzio pieno di parole, che tu possa perderti…ci sono io a tenere la tua mano grande e smarrita…non avere paura, papà, del mio dolore, non permettere che la paura ci allontani ancora…”
E poi ci sono io, l’umidore fino a questo momento inconsapevole degli occhi, e volti e parole ed ancora silenzi, passati e presenti, che ritornano come onde nella risacca, a ricordarmi che anch’io ho viaggiato su questa nave, e tutti sono stati miei compagni di viaggio, e mi hanno guarito dalla brutta, folle malattia di credermi sano… e per un curioso scherzo di associazioni bislacche, mi tornano alla mente alcuni versi di un canto Navajo, il cui testo sta scritto davanti ad una delle visioni di più potente bellezza che io conosca, il Canyon de Chelly:


nella bellezza che mi circonda
io cammino…
ascolta, odora il pungente ginepro,
senti il potere gentile della bellezza.
L’antica Roccia Nera si imprime
sull’orizzonte lontano.
Una nuvola nera in alto significa
che la pioggia arriverà presto…
C’è purezza e forza qui,
e luoghi sacri per gli uomini…
Luoghi importanti nell’unità
di terra e cielo e di tutte le cose…
sono veramente suo figlio…
Io sono assolutamente figlio della terra.




venerdì 20 febbraio 2009

Ancora sul silenzio

Sospeso tra parole, ragione di vita
ed inganno infinito, vivo come straniero,
in un altrove che è terra di nessuno
e che non ha ritorno.
Ma il silenzio dell'innocente che non si difende
mi turba (Ecce Homo!),
il silenzio del saggio e del folle
mi interroga,
ed al silenzio di chi espia
mi inchino.
Sull'orizzonte dove muoiono le parole,
nel silenzio nasce la Parola.

Natale 2004.

domenica 15 febbraio 2009

Mariella

Alcuni anni fa. Pomeriggio di guardia in reparto. Aspetto un ricovero in Trattamento Sanitario Obbligatorio. Non arriva. Mi telefonano i vigili urbani: mi dicono che sei barricata in casa e ti rifiuti di aprire. Mi chiedono di recarmi sul posto per tentare di convicerti, altrimenti devono abbattere la tua porta. Sarebbe un pò troppo traumatico. Arrivo. Case popolari, decine di persone affacciate ai balconi tutt'intorno, vigili urbani, vigili del fuoco, carabinieri, autoambulanza. Provo a salire (quinto piano senza ascensore). Non rispondi al campanello, ma sento che stai parlando ad alta voce al telefono con qualcuno degli operatori che sta sotto, e dici che uscirai soltanto se ti verrà a prendere un medico della Città del Vaticano. Siamo messi bene, mi dico.
Riscendo, mi faccio dare il tuo numero di telefono, me ne vado per i fatti miei, da solo, e ti chiamo. Dopo alcuni squilli rispondi. "Pronto?" "Sono il Segretario particolare di S.S. Giovanni Paolo II". "Davvero? Ma veramente? Sono emozionatissima". "Sì. Il Santo Padre la benedice e prega per lei. Ha saputo della sua richiesta di un medico di nostra fiducia ed ha provveduto immediatamente. Il medico risponde al nome di..., e si trova vicino casa sua. Sarebbe disposta a farlo entrare? " "Ma certamente. Solo lui però, e nessun altro".
Gli agenti non hanno idea di cosa stia succedendo, e mi vedono risalire di corsa (sempre cinque piani senza ascensore). Busso, mi apri. Gli agenti arrivati un pò dopo restano dietro il tuo portone, sul pianerottolo. Cominciamo a parlare, non sei del tutto convinta di venire con me. Ti scrivo un "salvacondotto" in cui garantisco che sei sotto la particolare protezione della Santa Sede e sarai in mia compagnia sino all'arrivo in reparto, dove sarai affidata alle mie cure.
Noto che la porta che dà sul balcone della cucina è aperta, ma siamo a giugno e non ci faccio tanto caso.
Ti convinci, e fai le valigie per il ricovero. Sono passati una quarantina di minuti da quando sono entrato. Apro la porta, e mi trovo davanti i due vigili urbani, ancora lì dopo tutto quel tempo, eroici. Prima che possano aprir bocca, con voce impostata e piglio deciso dico: "Allora, la Signora è sotto la diretta protezione dello Stato della Città del Vaticano e sarà accompagnata da me personalmente sino all'arrivo in Ospedale".
I vigili si guardano in faccia, mi riguardano in faccia, ed intuisco nei loro occhi il dubbio fugace che li attraversa: "Chi è dei due che dobbiamo ricoverare?". Per fortuna dicono invece "D'accordo dottore, se vuole lo mettiamo per iscritto". "No grazie, ci ho già pensato io e la Signora ha sottoscritto". "Bene così, allora".
Arriviamo in reparto tranquillamente, svolgo le pratiche per il ricovero, ti faccio sistemare nella tua stanza. Continuiamo a parlare simpaticamente per un bel pò. Poi , guardandomi di sottecchi, con gli occhi birichini, mi dici: "Sa dottore, io l'ho capito che lei non è un medico della Città del Vaticano, ma è stato bello lo stesso crederlo".
"Lo so che lo hai capito, è stato bello anche per me che tu mi abbia fatto credere di crederlo".
Poco dopo i vigili mi riferiscono che la porta aperta che dava sul balcone della cucina ha forse salvato la vita ad entrambi. Nel tuo totale disorientamento avevi inavvertitamente lasciato aperto il fornello del gas.
Non sono così sicuro che in tutta questa storia il Vaticano poi non c'entrasse...

sabato 14 febbraio 2009

Turi

Eri davvero fuori come un balcone. Appena arrivato in Comunità, hai cominciato a fare paura a tutti, ed hai pure sfasciato un paio di porte. Schizofrenia disorganizzata, dicevano i sacri testi. Il giorno dopo, sei entrato di corsa nella stanza dell'équipe (eravamo solo io, Paola e Pina) e ti sei avventato minacciosamente su loro due gridando frasi sconnesse. Non sapevo davvero che fare. Ho cominciato a parlarti con una calma che ero ben lontano dal provare, dicendo anch' io cose sensa senso, frasi via via sempre più prive di nessi associativi, tentando così di distrarti. E' andata: ti sei fermato, ti sei girato verso di me, mi hai chiesto "che stai dicendo?", poi hai cominciato ad avere timore. Ho continuato. Infine, cominciando ad arretrare senza darmi le spalle, mi hai detto perplesso: "Ahu!!! Ma a te ti ragiona il cervello?!?". Poi sei uscito dalla stanza.
Da allora ci siamo capiti. Hai continuato a parlare una lingua solo tua, ma guardarci negli occhi ci bastava per dirci delle cose.
Mi hai ribattezzato "Peppe Nappa". Pare fosse il nomignolo del cognato che si prendeva cura di te a casa dei tuoi.

domenica 8 febbraio 2009

sabato 7 febbraio 2009

Eutanasia: un pò di storia

...Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.
Non darò un farmaco mortale a nessuno, anche se richiestomi, nè proporrò un consiglio di questo genere...
Dal Giuramento di Ippocrate, 430 A.C.

Primum non nocere. Per prima cosa astenersi dal nuocere al paziente
Principio cardine dell'arte medica

Correva l'anno 1920. In Germania veniva pubblicato il libro "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere vissute". Gli autori erano Alfred Hoche, uno psichiatra, e Karl Binding, un giurista.
La tesi: uccidere i malati incurabili avrebbe portato benefici a loro stessi ed ai loro parenti, terminandone le sofferenze. Ma avrebbe portato benefici anche allo Stato, che aveva il dovere di destinare le risorse economiche in maniera razionale, quindi alle persone la cui vita era degna di essere vissuta.
Dopo qualche anno queste idee, che fino ad allora nella civilissima Germania non avevano avuto cittadinanza, cominciarono ad essere sdoganate, e nel breve volgere di un decennio diventarono patrimonio comune della gran parte della comunità scientifica.
Il nazismo di suo aggiunse la necessità di preservare la razza favorendo i caratteri ereditari eugenici e sfavorendo i caratteri ereditari disgenici.
Ed il regime non fece mancare una propaganda martellante per convincere la popolazione della giustezza dell'opzione eutanasica, attraverso riviste, pubblicazioni, mostre, filmati.
Cominciò la sterilizzazione di massa dei malati mentali, delle persone con disturbi di personalità o semplicemente considerate pericolose per il Reich a causa delle loro idee o comportamenti.
Dalla sterilizzazione si passò subito alla eliminazione fisica.
Furono aggiunte diverse categorie, tra cui i bambini affetti da deficit fisici o psichici.
Si trattava dell'operazione segreta "Aktion T4", o operazione eutanasia.
L'organizzazione era affidata al medico personale di Hitler, Karl Brandt, che si avvalse della collaborazione del ministero dell'Interno, del Ministero della Sanità del Reich, e dell'aiuto attivo ed entusiasta di numerosi psichiatri tedeschi di fama, come i professori Heyde, Nietsche, Pfanmuller, Kranz, che inviavano i malati in "stazioni di osservazione", dove la diagnosi veniva confermata nella quasi totalità dei casi, e si provvedeva quindi al trasferimento presso gli istituti di eutanasia. Qui le povere vittime venivano fatte morire lentamente di fame e sete, o insonnolite con iniezioni di morfina o scopolamina, o drogate con sonniferi, dopodichè a gruppi di dieci o quindici subivano la triste sorte delle camere a gas. Fu proprio nell'ambito del progetto eutanasia, infatti, che i carnefici scoprirono l'utilità dell' uso del gas per eliminare un gran numero di persone senza particolari problemi o difficoltà organizzative.
Una sorta di prova generale per quello che di lì a poco sarebbe avvenuto nei campi di concentramento delle varie Auschwitz, Birkenau, Treblinka.
I familiari delle vittime, ignari, venivano informati della morte del congiunto con lettere stereotipate che motivavano il decesso con "debolezza cardiaca" o "polmonite".
I cervelli delle vittime venivano inviati, per essere sezionati e studiati, a professori universitari di fama come Schneider, o Hallervorden, o Spatz, che a volte se li sceglievano prima dell'eliminazione fisica del proprietario, selezionando le persone e le patologie cui erano interessati.
Questi nomi di autentici criminali sono ancora stimati come nomi di scienziati di grandissimo livello. Nessuno di loro ha mai pagato, neanche in termini di onorabilità.
Basti pensare che esiste una sindrome neurologica che si chiama Hallervorden -Spatz, senza che a nessuno sia venuta la fantasia di cambiarne il nome.
Quando l'operazione, per le sue dimensioni, cominciò a divenire di pubblico dominio, alcune voci si levarono per denunciarne l'orrore. Determinante in questo senso fu il ruolo delle chiese cattolica e protestante. La figura dell'arcivescovo di Münster, Clemens August von Galen, resta ancora emblematica per l'inaudito coraggio con cui sfidò l'intero regime nazista, chiamando le cose con il loro nome e stgmatizzando le gravissime responsabilità dei politici. Il tutto in un clima di intimidazione e terrore, oltre che di indifferenza, collateralità o consenso di una parte del popolo tedesco nei confronti dell'eutanasia di Stato, frutto anche, probabilmente, della martellante propaganda pro-eutanasica.
Alla fine Hitler, preoccupato del malcontento che comiciava a diffondersi, decise di porre termine all'operazione, che aveva fatto un numero imprecisato di vittime e di sterilizzazioni forzate, stimabile, con approssimazioni la cui entità è difficile da definire, almeno in diverse centinaia di migliaia.
Iniziò però subito dopo una operazione ancora più segreta, la Aktion 14F13, che portò all'eliminazione di pressochè tutti i disabili psichici detenuti nei campi di concentramento.
Tutto il
know how (iniezioni letali, gas, modalità di organizzazione) acquisito negli istituti di eutanasia, infatti, venne utilizzato, insieme al personale che vi si era distinto, a servizio dello sterminio scientificamente organizzato dei grandi campi di concentramento.
Aveva inizio la Shoah.


Bibliografia
Petacco A.: Enciclopedia della Seconda Guerra Mondiale. Curcio, Bergamo, 1979.
V. Dicks H.: La libertà di uccidere. Studio socio-psicologico sulla criminalità delle SS. Rizzoli, Milano, 1974.
http://www.olokaustos.org/argomenti/eutanasia

giovedì 5 febbraio 2009

Carezzare, osservare il respiro, ascoltare i battiti del cuore

L'unica ed ultima volta che Suor Albina, una delle donne che si è presa cura di Eluana fino a qualche giorno fa, ha accettato di parlare alla stampa, ha chiesto agli operatori che se ne "prenderanno cura", di accarezzarla, di osservare il suo respiro, di ascoltare i battiti del suo cuore: sono i tre elementi, dice, che li porteranno ad amarla.
Già.
Mi chiedo: quanto siamo ancora capaci di godere del contatto di chi amiamo? Quanto siamo capaci di osservare il nostro respiro e quello di chi ci sta accanto? Quanto siamo capaci di ascoltare i battiti del cuore?
Mi chiedo ancora: quanto è vegetativa la vita che crediamo di vivere?

domenica 1 febbraio 2009

Mi autodenuncio

Sembra che per i giudici della Lombardia il diritto all'autodeterminazione sia un diritto "assoluto".
Che non va commisurato a nessun altro principio giuridico elaborato nei secoli dal diritto italiano, come ad esempio quello della "indisponibilità della vita" (cfr l'ottimo articolo di D'Agostino ).
E' un diritto assoluto, quindi, anche se obbliga altri a "suicidare" il fruitore, o presunto tale.
Non c'è traccia, in questo distillato di saggezza giuridica ed umana, del diritto degli altri (leggasi medici, personale sanitario, amministratori del SSN, politici) di trovare tutto questo sbagliato e di rifiutarsi di metterlo in atto.
Sarà...
Allora io mi autodenuncio. Devo fare la seguente confessione: ho fatto cambiare idea ad un pò di persone che volevano suicidarsi. Qualcuna di queste, ricorrendo i requisiti di legge, penso di averla pure fatta ricoverare in Trattamento Sanitario Obbligatorio. Sì, ho usato delle pressioni che andavano contro un diritto "assoluto". Dopo queste pressioni, che mi rendo conto in qualche modo potevano pure essere vissute da chi le subiva come "violente", non mi risulta che alcuna di queste persone abbia perseverato nel proposito. Molte di loro hanno ripreso felicemente le loro occupazioni e sono tornate ai loro affetti, e qualcuna mi ha pure ringraziato. Non è che mi vantassi di questo, pensavo facesse parte del mio mestiere.
Ora non so come comportarmi. La prossima volta che dovesse capitarmi, non so se devo aspettare un pronunciamento dei giudici.
E se con un altro bel colpo di Scienza (con la S maiuscola, ovviamente) dovessero costringermi, in nome della legge, o della Costituzione, o di chissà cosa, a dare una bella spintarella al signore che aggrappato al parapetto di un ponte mi grida che si è incastrato, e da solo non ci riesce, ma vuole buttarsi giù?
Facciamo così. Recupero le mie radici sicule e quel pò di vena anarcoide che, tanto da lontano, mi ha sempre fatto compagnia, e mi dico con un sorriso e tanta tranquilla rabbia:
futtatinni.
Che, in linguaggio forbito, si traduce così: continua a lavorare in scienza e coscienza, sapendo che si avvicinano a grandi passi tempi in cui questo potrà costarti il tuo posto di lavoro, e magari anche un bel processo penale.

D'altronde, nessuna meraviglia, sono tempi già previsti un secolo fa: mi perdoneranno i miei due o tre lettori, se cito ancora una volta un intellettuale che mi è particolarmente caro.

"La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. E' una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. E' una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l'incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto".
Gilbert Keith Chesterton, Eretici, finale dell'ultimo capitolo.
Citazione ripresa da Il blog dell' Uomo Vivo