na notti mi sunnai ca iu era cu nuddu, e nuddu si sunnau ca era ccu mia...
Sto ascoltando in questi giorni la tua musica. Ho avuto il singolare privilegio di conoscerti di persona durante una cena con amici, alcuni anni fa. Hai portato al ristorante un tamburo che avevi costruito ed istoriato tu, secondo conoscenze antichissime, ed hai trasformato una serata già bella di per sè in un evento magico.
Già da bambino hai conosciuto la solitudine e le asperità della vita, difficile ma piena, di pastore, non molto lontano dai miei luoghi.
Una forza oscuramente luminosa ti ha trascinato a girare il mondo, poggiando su un italiano incerto e su un genio certissimo, fino a fare da percussionista a Pino Daniele, Eugenio ed Edoardo Bennato, Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Vincenzo Spampinato, e fino a collaborare con gente di teatro come Albertazzi, Massimo Ranieri, Ottavia Piccolo.
Ascoltarti è sentire scorrere sulla pelle il suono dei secoli e delle civiltà che si sono succedute sulla nostra terra, percepire la rugiada o la pioggerella notturna che si posa sulla pelle e sui vestiti e riempie le foglie di fichi d'india da cui dissetarsi (binirittu sia lu cielu e lu sirenu!), rievocare la bellezza impervia ed antica delle nostre donne vestite di nero, il profumo della zagara o della terra bagnata dalla pioggia, o sentirsi ferire gli occhi dalla luce abbacinante del sole d'agosto.
Ascoltarti è sentire come la nostra terra trasudi saggezza antica, cultura, bellezza, forza e mistero.
Ascoltarti è capire che è solo per pochi comprendere parola per parola quello che canti nel dialetto dei Monti Iblei, ed è tornare a fare la pace con la gioia e l'orgoglio di essere figlio di questa terra.
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