venerdì 16 gennaio 2009

Io e una madre

Parecchie ore di lavoro clinico, oggi. Tutte toste. Ma cosa dire ad una madre che da poco ha cominciato a fare i conti con una malattia cronica che insidia la vita della figlia non ancora adolescente, e che nel migliore dei casi continuerà a fare paura. Cosa dire a chi come lei sta sospeso tra una possibile sentenza di condanna e la speranza che si riaffaccia, ma che viene quasi vissuta come una minaccia, per paradosso. Se le cose vanno bene, come sembra, sarebbe ancora più insopportabile essere disillusi dopo.
Mi difendo dietro il camice, che tra l'altro non porto, e la tratto come un
caso clinico? La inquadro in una elegante cornice diagnostica per darle una bella terapia che l'aiuti a sopportare l'ansia intollerabile che non le dà pace?
Ma cosa dire, che non sia già detto, o affettato, o inutilmente consolatorio, o fuori luogo.
Le parole vengono dopo, intuisco; qui c'è da lasciarsi attraversare dall'angoscia, e restare fermo lì, presente, mentre le immagini dei miei figli continuano a girarmi intorno.
Lasciare che quel dolore rimbalzi tra me e lei, e poi cercare insieme di guardarlo in faccia: con una presenza accanto è appena un pò più sopportabile. Spero.


2 commenti:

  1. Mi chiedo cosa sarebbe cambiato se,appena undicenne,quando una malattia cronica,rognosa, scelse anche il mio capolinea,avessi avuto un "amico" con cui guardarla in faccia.Forse non avrei a lungo cercato di capire l'impossibile.O forse si.Ma forse avrei capito qualcosa in più della vita e di me come uomo. Ne sono convinto. Grazie doct.
    Giuseppe.

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  2. Grazie a te Giuseppe, e benvenuto. Aspetto con piacere tue nuove visite.

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